Poesie alla luna
Ritroviamo il castello di Uchisar proprio lì dove lo avevamo lasciato nell’agosto scorso, con le botteghe degli artigiani ai suoi piedi e le centinaia di piccioni danzanti alla sua sommità.
I nostri polmoni si gonfiano di aria pulita e la nostra anima si nutre di pace e serenità.
Tra i volti sorridenti e familiari, ricomincia la nostra scoperta della Cappadocia, un luogo pieno di fascino e di poesia.
Se dall’alto di una mongolfiera si gode di uno spettacolo fantastico, le lunghe passeggiate nelle valli ci permettono di ascoltare la natura più da vicino, di annusarne i profumi.
Non è un caso che abbiamo scelto di tornare nel mese di giugno.
Le giornate non finiscono mai ed è tutto un tripudio di fiori colorati, di grano verde e di grappoli d’uva ancora acerba.
Gli alberi da frutto sono carichi di albicocche, di ciliegie, di susine e di gelsi, è come se stessero lì per rifocillarci offrendoci un po’ di ombra e deliziandoci il palato.
L’azzurro del cielo contrasta con il bianco accecante del tufo, se non fosse per lo scalpitio dei nostri passi sul selciato, anziché nelle valli, parrebbe di stare sui monti candidi di neve fresca.
La magia della Cappadocia sta anche nello scorgere tra i pinnacoli e le pareti frastagliate delle sue valli improbabili figure di animali o austeri profili di volti senza tempo.
La bellezza delle sue chiese scavate nel tufo è tale da farci rimanere ammutoliti, nel guardare quegli affreschi dai colori talvolta incredibilmente vivi.
Come le pietre preziose in una collana così le nostre giornate pian piano vanno ad infilarsi una dopo l’altra.
Bighellonando da un paesino all’altro, assorbiamo come spugne tutto ciò che ci circonda, un’immersione totale nella vita verace di una parte della Turchia d’altri tempi che vuole a tutti i costi mantenere vive le vecchie tradizioni.
Il profumo del pane appena sfornato dalla pietra, l’aratro trainato da un cavallo ornato da un kilim, un piatto di gozleme appena cucinato sulla piastra, un tappeto di lana lavato e messo ad asciugare al sole.
Le note tremolanti di un grammofono attirano la nostra attenzione, provengono da una bottega satolla di oggetti del passato, entriamo in punta di piedi facendo attenzione a non inciampare nelle mille cose appoggiate per terra e nelle mille cose che pendono dal soffitto, le note di un vecchio disco in vinile che sentiamo arrivano dall’angolo del bancone dove fa bella mostra di sé il verde grammofono, ma non è lui il vero protagonista, a rubargli la scena è il proprietario della bottega.
Sotto il berretto blu uno sguardo profondo e rassicurante, e un bel paio di baffi grigi molto curati, Crazy Alì è il suo nome, è scritto anche sull’insegna della bottega, Alì è onorato della nostra visita e si appresta ad offrirci un caffè turco.
Ci guardiamo un po’ attorno mentre i fondi del nostro caffè apposano sul fondo della tazzina di ceramica dipinta a mano.
I nostri occhi non tralasciano nulla: forbici, chiavi, scarpe, telai, porta spezie, sigilli per lettere, culle per neonati, bicchieri di peltro, monili di argento…
sorseggiamo la calda bevanda quando ad un certo punto Crazy Alì comincia a recitare dei versi incomprensibili per noi, poesie in turco scritte da lui, che ascoltate poi in inglese erano si più comprensibili, ma non ricreavano la stessa atmosfera.
Lasciamo Orthaisar salutando Alì con un arrivederci promettendogli di tornare a salutarlo prima di partire.
Il nostro amico Enrico, con cui giriamo la Cappadocia, ci parla di un paese dove ogni sera accade qualcosa di molto particolare, e con i nostri occhi siamo pronti a scoprire di cosa si tratta.
Al calare del sole decine di mucche con vitellini al seguito fanno rientro in paese dopo una giornata passata a pascolare sui monti che incorniciano Mazi Koyu, il nome di questo paesino.
Le strade si popolano di ruminanti ben felici di mescolarsi con chi gioca a carte davanti ad un bicchierino di cay, o con chi vende frutta e verdura davanti al proprio carretto.
Presto anche noi veniamo inglobati in questo anomalo “struscio” pre-serale,.
Tra risate e muggiti si fa largo una musica assordante, un complessino di tre suonatori invita tutti a ballare e far festa.
Noi non capiamo perché o per chi facessero festa, però sciami di bambini festaioli ci coinvolgono in un puro divertimento.
Enrico sorride: “tranquilli, è un matrimonio, e noi siamo invitati”.
Continuiamo a non capire, di sposi in giro neanche l’ombra, sarà mica un matrimonio per una coppia di mucche?
Enrico sorride ancora per il nostro stupore stampato in viso e ci spiega che il matrimonio secondo il rito islamico viene festeggiato in più giorni, prima in paese senza gli sposi, poi il rito del matrimonio a casa della sposa, poi tutti gli invitati vanno a casa dello sposo e infine di nuovo tutti in paese fino a tarda notte.
La cosa si fa interessante. Aspettiamo con ansia il nuovo giorno buttando un occhio alla luna quasi al massimo della sua pienezza facendo una riflessione: avremmo noi invitato al nostro matrimonio dei perfetti sconosciuti e per di più anche stranieri? Forse no, forse si, forse…
se allentassimo un po’ le briglie a tutte quelle formalità e congetture che ci vengono inculcate fin da piccoli…
viaggiare può insegnare anche questo, migliorarci per vivere meglio a casa nostra, portando quello che di buono e sano si può prendere dai paesi che visitiamo.
Facciamo ritorno a Mazi Koyu in veste di ospiti ufficiali. Troviamo davanti alla casa della sposa il padre con il vestito della festa e con una bottiglia di vino bianco in mano, al suo cenno la banda inizia a suonare, ma l’applauso è più rumoroso della banda quando dalla porta di casa esce finalmente la sposa.
E’ giovanissima, ha solo 19 anni, come un tempo accadeva anche in Italia in Turchia oggi ci si sposa molto presto.
Il vestitone rosso con tulle e merletti stride un po’ con il contesto ruspante, ma tutto ciò è puro folclore.
Il nostro continuo girovagare ci riporta in luoghi tanto sperduti quanto affascinanti, lontano dai malinconici grammofoni e dalle chiassose bande.
Un lago dalle acque verdi e cristalline dove ci si può rinfrescare, un ruscello canterino popolato da saltellanti ranocchi, dove i cavalli assetati vanno ad abbeverarsi, o piuttosto un sentiero impervio attraversato da grandi tartarughe e svolazzanti farfalle colorate.
La poesia si materializza ovunque, nei colori, nelle forme, nello sguardo languido di una donna velata che si lascia fotografare.
Il nostro viaggio è ormai agli sgoccioli, e dobbiamo mantenere una promessa, salutare Crazy Alì.
Il poeta ci aspetta davanti alla sua bottega con uno zaino in spalla e il suo immancabile berretto blu.
La serata è perfetta per una passeggiata nella valle rosa al chiar di luna.
Seguiamo Crazy Alì in silenzio, ammirando le creste di tufo color madreperla, e le sagome scure degli alberi mosse dal vento.
I nostri passi accarezzano le dune e graffiano i crepacci sotto lo sguardo di una luna piena e rassicurante.
Come d’incanto, decine di candele si accendono intorno a noi, illuminando la splendida chiesa scavata nel tufo, in questo teatro suggestivo Crazy Alì recita le sue poesie alla luna, mentre noi commossi salutiamo la Cappadocia.
Silvia