Eccola li, davanti a me, adagiata in una fertile vallata, Fès, la più antica delle città imperiali del Marocco, si mostra nel suo kaftano ocra dai lunghi smerli, ricamato da porte di cedro e minareti in mosaico.
L’apparente animo placido nasconde una dinamica e disarmante vitalità al cui richiamo è impossibile sottrarsi.
Indosso le morbide pieghe delle sue vesti scoprendo un labirinto di vicoli che, come fettuccia, si dipanano e si stringono intorno a piazzette e fontane.
La frenesia del mercato, per l’ormai prossimo Ramadan, è tangibile, il flusso incessante di compratori, eccitati nell’accaparrarsi il miglior taglio di carne o la miglior cesta di verdure appena raccolte, mi travolge.
Tante braccia protese su piramidi di datteri, di fichi, di olive, di spezie, io mi intrufolo tra mani che pesano, che pagano ed è tutto uno scambio di occhiate e di sorrisi.
Sono circondata da botteghe di battitori, di molatori, di intagliatori, di ceramisti, di tessitori, di marmisti…ogni artigiano è orgoglioso di mostrare quanta passione, capacità e bravura mette nella propria arte, ed è meraviglioso veder nascere un vassoio di rame, una cornice di legno, un telo di fibra d’agave, una tajine di terracotta dipinta.
Mi muovo al fresco delle alte e strette mura, sopra la mia testa sventolano dei teli sdruciti legati tra loro da pezzi di corde sfatte e annodate più volte, i raggi entrano solo quando il sole è a picco, un bel sistema per difendersi anche dalle torride temperature estive.
Mi sorprendo nel vedere ragazzi usare le mura come telai, si proprio cosi.
Ai lunghi chiodi piantati nel muro, il tessitore annoda i fili di cotone o di seta e li trasporta per diversi metri con le dita aperte fino ad altri chiodi, questo per diversi passaggi, poi con un mulinello elettrico li intreccia per formare un cordone di passamaneria che servirà ad impreziosire lo scollo e le maniche dei kaftani.
Accompagnata dal profumo di pane che arriva dai forni in pietra mi ritrovo ad annusar foglie di menta su una terrazza che si affaccia sull’antica conceria Chouara, quelle vasche fotografate da ogni turista, sono qui sotto di me.
Quando il cervello si concentra a guardare, manda il naso in stand by, quindi decido di masticare quelle foglie di menta, lasciando le mani libere d’impugnare la fotocamera per immortalare le fasi di quel lavoro tanto faticoso quanto affascinante.
Uomini immersi in vasche circolari trattano le pelli nella calce, nel guano di piccione, nelle vernici colorate per poi stenderle ad asciugare.
Mi impressiona la quantità di capi di bestiame stesi come fazzoletti al vento.
Stordita dall’eccitazione e dal turbamento, riprendo il mio cammino nel via vai di piedi in babbucce e di zoccoli d’asini ancheggianti.
Gli unici corrieri ammessi nei vicoli sono proprio gli asini ed incontrarli significa sperare di trovare un portone aperto dove potersi infilare o provare ad appiattirsi contro le mura tanto da trattenere il fiato sperando che quei centimetri recuperati evitino lo scontro con le enormi some.
Ho bisogno di fare una sosta e mi dirigo in piazza R’Sif, prendo posto sulla scalinata e, sorseggiando una spremuta d’arancia, provo a rilassarmi in quell’arena di vita quotidiana scandita dal canto del Muezzin.
Passo sotto la porta Blu, Bab Boujloud e m’incanto ad ammirarla nei due colori, blu il colore di Fes nel lato esterno alla medina e verde il colore dell’Islam nel suo lato interno, mentre i suoi smerli bianchi si stagliano nel cielo azzurro.
Un certo languorino comincia a farsi sentire e non devo fare altro che scegliere tra i tanti ristorantini attigui alla porta Blu.
Invitata ad accomodarmi, mi affretto a leggere il menù ma già arriva il sorridente cameriere con olive, zuppette, insalatine e pane caldo…questo non è altro che il benvenuto!
Cous cous, tajine, minestre e tante altre bontà mi fanno ricordare di quanto sia buona la cucina marocchina assaggiata nel precedente viaggio!
Riprendo il mio vagar senza meta in un continuo saliscendi tra quelle mura impenetrabili alla vista, mura che rivelano da alcuni dipinti l’influenza andalusa, mura che celano i cortili dei riad, mura che custodiscono come un tesoro i numerosi insediamenti che oggi si vedono stratificati nella vita socioculturale.
L’aria fresca della sera trasporta le note dei canti sacri e un brivido mi corre lungo la schiena.
Rannicchiata sulla terrazza del riad voglio centellinare i minuti come le gocce di tè alla menta.
Fès, col suo kaftano ormai puntinato di luci, mi avvolge e mi riscalda.
Una poesia!